Quarto libro 14° lettera Alla cortese attenzione della angoscia

17.04.2012 00:35

 

Credetemi...non leggerlo a chi piace la letteratura ....sarebbe un delitto.....Rinuncereste ad un qualcosa di meraviglioso...Complimenti Rosanna

mm

 

Quarto libro 14°Lettera Alla cortese attenzione della angoscia

 
 
 
 
 
 
 
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Alla cortese attenzione della angoscia

 

Mi manca l’aria.

 

Annaspo, odoro ossigeno ma la zaffata è anidride carbonica.

 

Boccheggio.

 

Mi manca il fiato.

 

La gola è secca, la saliva azzerata. Non una bava ammorbidisce la lingua.

 

Respiro veleno.

 

Allora chiudo gli occhi, mi raggomitolo.

 

Tendo le mani al cielo, ma le mani scappano come staccate dal mio corpo.

 

La mia pelle è a pezzi, sbrindellata

 

Signora angoscia, non posso darle del tu, ma devo tenere le distanze. Da lei,  con il lei.

 

Troppo aborrita, per avvicinarla con un tocco di intimità.

 

Lei è crudele, una sciarpa, un nodo scorsoio, che mi impicca poco alla volta, tale comprova del suo efferato sadismo.

 

Cerco il grembo di mia madre.

 

Mi sento feto, una incompiuta burattina, creata da un artigiano maldestro.

 

E una nenia mi assorda.

 

Perché esisto? Cosa sono? Chi sono? Chi, cosa siamo?

 

Perché siamo? Perché esistiamo?

 

Viviamo senza domandarlo. Ci conosciamo. Ci amiamo. Ci odiamo.

 

Nasciamo e moriamo.

 

Soli e insieme. Insieme e soli.

 

Sentimenti di pentimenti. Odio. Aspirazioni, ambizioni, crudeltà, amore, avarizia generosità.

 

Il motivo, voglio sapere il motivo! Le ragioni, voglio sapere le ragioni!

 

Qualcuno me lo dica, me lo spieghi. Lo pretendo!

 

Chi ha concesso il permesso affinché venissi al mondo? I miei genitori a chi l’hanno domandato?

 

Non volevo, non lo desideravo. Non lo sapevo. Non lo cercavo.

 

Perché? Perché? Perché?

 

Che ci devo fare qui in mezzo a gente che non mi va a genio, che puzza, che mente, che mi sfiora, che mi ferisce, che non mi capisce, che mi passa oltre ?

 

Che mi sta a pelle, antipatica?

 

Che detesto, che disprezzo?

 

Cosa ho in comune con l’umanità?

 

Sono umana?

 

Occhi e sguardi spenti, teste chine, culone sui tacchi a spillo di prima mattina che caracollano, a destra sinistra. Che mi spaventano.

 

Sono il mio specchio?

 

Non voglio essere toccata da queste culone.

 

No, no, no, non siamo della stessa razza, della stessa genia.

 

E questi uomini profumati che lasciano una scia di feromoni mischiati alla lavanda, che si incipriano più delle donne con lo stivaletto figo?

 

Chi sono?

 

Che ci faccio in questo mondo? Quale è il mio compito? Il mio ruolo in questo mondo troppo marcio, impregnato di troppa crudeltà?

 

NO NO NO NO

 

Non ci sto.

 

Scappo, si ho deciso scappo. Mi trasformo in un albero. Voglio diventare prato

 

Non voglio la coscienza, No.

 

Signora angoscia, se ne vada a nero e mi prenda con lei. Così la facciamo finita.

 

Se fossi stata nulla, nel niente avrei patito il niente del nulla.

 

E’ una violenza subita, la nascita. E’ una liberazione desiderata, la morte.

 

Il cavo tirato dal campanile della nascita al campanile della morte oscilla.

 

Piccoli passi o grandi falcate occorrono per attraversarlo?

 

Tanto si sa, che la caduta sarà inevitabile.

 

Stringiamo nel pugno il nostro inizio, mentre l’oro di lei signora angoscia, quella che ci regala beffarda, a nessun calore di sentimento si disfa, si liquefa.

 

Voglio, pretendo il buio per non vedere, per non pensare, per non sentire.

 

Per non parlare, per non chiedere, per non rispondere.

 

Per non respirare, lei signora angoscia.

 

Sono i suoi artigli, i mille punti fosforescenti vigliacchi si insinuano come spilli, sotto le mie palpebre serrate.

 

Sono i suoi graffi le mille insegne, che intermittenti accecanti, ballano nella mia mente e la dannano.

 

Datemi un sorso d’acqua per questa sete di sapere.

 

Offritemi un piccolo sorriso per questa ansia di capire.

 

Accendete voi saggi, una saggezza e forse l’angoscia, lei signora angoscia angosciante, sparirà nella consuetudine di giornate rassegnate a rimanere senza risposta, che si inanellano l’una con l’altra, esultanti o depresse.

 

Potrò rinchiuderla in cantina o buttarla sotto i piedi di chi vendemmia la paura e i chicchi di fede.

 

Senza carità, gioia del piccolo dovere compiuto.

 

Per batterla, signora angoscia, per sfinirla, per finirla con un colpo letale e sconfiggerla, occorre esaltazione.

 

Occorre forza d’animo, occorre ubriacarsi di piacere. Occorre dimenticare.

 

Poiché la luce faro che lei abita, non mi conduce al porto sicuro, mi sbatte direttamente sugli scogli.

 

Rifiuto di fiatare, quando lei mi attanaglia i ventricoli e li pompa in disordine affrettato. Divento trasparente, per non soffrire i contorni del mio viso, del mio corpo.

 

Li sfioro per ritrovarli, per ritrovarmi. Mi guardo allo specchio. Riflette stralunati, alterati connotati.

 

Mi sono nuovamente perduta.

 

Nei vicoli scuri dove il magma umano traspira, attendo come una liberazione, angoscia odiata, temuta, paventata, l’opera di Jack Lo Squartatore .

 

Resto immobile, mentre la cadenza dei suoi passi, che agogno, dovrebbe obbligarmi a cercare scampo.

 

Se volessi vivere, se potessi vivere, senza la tua mano, signora angoscia, che ovunque mi insegue.

 

I miei, sono passi da gigante di pietra, quando lei mi tiene per le palle, sono come tumulti che mi strozzano la voce che non ha suono alcuno.

 

Neppure un fischio di aiuto sa emettere. Solo un sibilo di terrore.

 

Sono infilzata con la capocchia dello schidione alla mia compagnia indesiderata di lei, signora angoscia.

 

Mi avverto come una noctula con ali gigantesche. Inutili al volo.

 

I miei colori sono ad acqua che inzacchera la pozzanghera di fango che schizza sul mio abito. Una tonaca dai colori, toni sfumati.

 

Dai rossi, si passa ai violetti, poi all’arancio. Infine ai neri più cupi.

 

Lei, signora angoscia, riesce a dilaniare una mia metà.

 

Sono una sua preda, come è vittima designata quella che si domanda e che si interroga.

 

L’altra, la parte del vivere, no, le sfugge, si aggrappa ad un fiore, ad un prato, ad un tramonto, ad una nota, ad una rondine, ad un cucciolo, ad un bambino, per fuggirle lontano e procedere spedita, beffandola, dileggiandola. Irridendola.

 

Per afferrare saldamente un appiglio di esistenza, per continuare la corsa su quel filo teso dal campanile all’altro.

 

Senza avere la certezza di trovare un rimedio che ti costringa a rivedere le tue posizioni.

 

Solo fede. Speranza.O solo amore?

 

Allora una gratificazione minima, signora angoscia, anche piccina mi può aiutare a pestare il cadavere del mio oggi ed a cullare il neonato del mio domani.

 

Le volto le spalle. Alla nuca sento un grifagno, rapace,tocco unghiuto che tira i nervi allo spasimo della insicurezza.

 

Nervi che guizzano per non farsi trapassare.

 

Faccio bene? Faccio male? Faccio giusto? Faccio sbagliato?

 

Si, lei signora angoscia, è dentro ogni mia decisione.

 

Che può diventare irrevocabile, foriera di vita o portatrice di morte.

 

Mi pare, rialzando la testa e la mente, di aver trovato l’uscita!

 

Non so, però, se rammento l’entrata.

 

Mi disperdo nella marea anonima.

 

Nella massa di fiamme che caduche attendono, fanno l’autostop a Caronte.

 

Le guardo, mi vedono. Le osservo, continuano il loro andare oltre.

 

Eppure siamo insieme nella stessa bolla d’aria. D’atmosfera.

 

Sconosciuti noi, ma con etichette di plus valore a girocollo, identici come funzione anche se diversamente atleti.

 

Gli ostacoli rovinano a terra.

 

Il salto troppo corto mi fa lancinare la volontà.

 

Ancora ancora ancora, lei signora angoscia.

 

Un cruciverba, un anagramma, una ricerca di parole senza le vocali o senza le consonanti.

 

Mancanti solo quelli pari.

 

Caselle bucate, nel foglio, senza dispari.

 

Ho perso la matita per scrivere, per occupare quelle caselle con senso compiuto.

 

La memoria mi falla.

 

Sono interrogata da lei, signora angoscia.

 

Giuro ho studiato, mi sono preparata a dovere, ma non so darle replica.

 

Le chiedo pietà, le chiedo perdono, questa volta me la faccia passare liscia, signora angoscia, maestra insuperabile di procurata sofferenza.

 

Mi dia pace, mi lasci dormire.

 

Prenderò ripetizioni, ritornerò a sostenere questo esame.

 

Lo giuro. Ora, mi faccia rimanere nell’angolo, dietro la lavagna.

 

Sono incorporea, invisibile al gioco, alla allegria, all’ottimismo.

 

Sono solo sua, signora angoscia.

 

Mi pare di sentire che lei si sia chinata. Sdraiata addirittura! Acquattata nella mia fibra!

 

Anche lei, lo sappia, che mi giudica, sarà giudicata.

 

Anche chi mi angoscia sarà angosciato.

 

Senza consapevolezza, spellata della carne viva, io, vagabonda e zingara, aspetto la carità di una monetina di vita, di entusiasmo di vita per comprarla, signora angoscia e buttarla, nel bidone della spazzatura, che fa bella mostra di sé sulla strada.

 

Che diventerà per lei, buia, sempre più buia, buia, buia.

 

Fino ad inghiottirla, signora angoscia, magari per il mio sempre, che mi avanza del mio tempo.

 

Quando sarò pronta a sfidare i suoi occhi.

 

E il suo sguardo, signora angoscia, mi trapasserà senza inghiottirmi.

 

 

 

Alla cortese attenzione è un libro di lettere che ho scritto nel 1976, mai pubblicato…