Quando non ci sei non ci sono
Quando sono fuori
Anche se fosse a stento
Dall’ardimento
Del tuo pensiero
Io lo avverto
Rinchiuso stai nel tuo maniero
Io lo sento
Io non mi mento
Mentre pace non mi dò
L’ombra
Sulla luce
Prende il sopravvento
Rabbuiata è la mia (de) mente
Che alla tua non si congiunge
Che la tua anima non raggiunge
Che persa gira su se stessa impazzita
Che si spasma contrita
Senza effluvio di te
Lasciata
Abbandonata a sé
Che non si ritrova
In nessuna di passione alcova
La mia pelle
Raggrinza
Di rughe si pinza
Di roridezza privata
E’ crepata
Assetata
Di arsura
Che dura e perdura
In una grotta di lutto
Tanto tanto brutto
Non esiste quando
Poiché privo della eco della tua voce di rimando
Non esiste tempo
Poiché orfano del tuo pieno sustentamento
Non esiste terra
Poiché orba del tuo affetto serra
Non sono
Ecco semplicemente non sono
Neppure inclinata al di me perdono
Invece divento
Con mio sommo spavento
Non mi riconosco
Mi disconosco
Un punto accartocciato
Spiegazzato
Che ha dentro
Nel suo infinitesimale minuscolo centro
Uno spillo
Una miriade di inquietudini trillo
Il sospiro della memoria
Che non fa baldoria
Diventa fiato
Non più afflato
Per alitare se può
Ma non ci riesce
Mentre l’angoscia cresce
Quel soffio di vita
Che aspirava da te offerta infinita
Ora raggomitolata
Smembrata
A tratti ansimata
Nel brivido
Nero e gelato
Del mio io
Rovesciato
Sfiancato
Esaurito
Per l’assoluta certezza
Di essere monco
Un magro ramo caduto dal tronco
Spezzato
Che lascia fuoruscire
Languire
Singhiozzare
Inconiugata
Del verbo amare
L’ultima di linfa goccia
Di palpiti come doccia
Calda e oramai esalata
Vapore
Di mancanza del tuo sapore
Dire
Affermare
Sospirare
Alla accigliata luna
Pure lei s’imbruna
Mi manchi da morire
E’ scoprire
Svelare
Immantinente
Palesemente
Assieme ai saltimbanchi
Davanti
Agli di spettatori affamati branchi
Appena il proscenio si anima
Di attori
Interpreti di dramma farsa tragedia commedia portatori
In un di giallo rappresentazione
Il nome dell’assassino
Poverino
Di un delitto
Che pareva perfetto
Il mio sentore è così
Un relitto
Consunto nella tempesta
O divorato dai tarli nella foresta
Sbugiardato
Dagli indizi che anche la mia mente
Ormai non ha più neppure la forza di essere furente
Percorre
E il cuore non soccorre
Quel che occorre
Alla mia malattia
E’ che si riprenda
Insieme
La stessa stretta pur piccola via
Per farla diventare strada
Alla mia esistenza questo aggrada
Ma no
Non si può
Allora è in quel quando orrendamente
Cupo e silente
Dunque
Che arriva prepotente
Fragorosamente
La mia ribellione
Mi armo
Per il tormento disarmo
Prendo lo scalpello
Dell’arrovello
Sul tuo nome e cognome
L’addio cesello
A malincuore
Per carezzare il mio cuore
Sussurragli
Nei suoi precordi spiragli
Che non di dipendenza
Ha bisogno
Insomma non di un mio sogno
Che si può cancellare
Chi in sintonia
In empatia
È un suo diritto
E il mio cuore deve stare zitto
Non può con esso stare
Lo deve con veemenza accettare
Io glielo impongo
Neppure un secondo in più frappongo
La mia dignità di disciplina
Col mio decidere libero collima
Un viaggio è finito
L’ho finalmente capito
Il turista che ha visitato la mia landa
Ed è stato accolto come Dio comanda
Mi volta le spalle
Ai ciottoli dà un calcio come si fa con le palle
Non vede la mia disperazione
In quella d’addio stazione
Dal mio treno è’ sceso
E’ già nel suo sentiero scosceso
Avanti allora grido a chi mi sta intorno
Della mia giornata è arrivato il mezzogiorno
Nel mio scompartimento
Quel di lui turista mutismo è stato l’avvertimento
S’è liberato un posto
Attenzione ohibò che di lusso del biglietto è il costo
Per sedersi accanto a me
Sempre in cerca di mille delle emozioni i perché
Beh forse se tu mi sai sentire
Se ti sai dare
Se l’amore sai fare e disfare e rifare
Inventare
Lo cedo a te
Proprio a te che mi cerchi
Con quotidiane profferte mi accerchi
Per farti diventare
Bada soltanto se mi rendi del tuo tempo regina
Alla tua profondità costantemente intrigata e vicina
Il mio re